La Barbuta e la Monachina, due ferite aperte nel tessuto urbano e sociale della città.
Due campi nomadi enormi, malgestiti, dove la linea tra malaffare ed incompetenza è labile, spesso invisibile, e dove i racket compiono beatamente qualunque tipo di illegalità, di fronte all’ipocrita e inutile presenza di una misera pattuglia di Polizia locale tristemente parcheggiata all’imbocco del campo, a controllare cosa non si sa.
Ma ecco che la Giunta Raggi, fervida produttrice di nuove idee per superare i problemi di Roma (come la proposta di “passare senza sostare” davanti alla Fontana di Trevi per limitare il flusso turistico, ad esempio) ha partorito quella che potrebbe essere la soluzione definitiva: un bonus-affitto da elargire ai nomadi di etnia rom che ne facessero richiesta e rispondessero a specifici requisiti, tra cui la sottoscrizione di un “patto per l’integrazione”, per due anni consecutivi, al fine di facilitarne lo spostamento dai campi suddetti in alloggi civili e la definitiva chiusura dei suddetti campi in 24 mesi.
Un’idea straordinaria, nel senso che riesce a cozzare contro qualunque forma di buon senso e legalità in maniera così lampante da sembrare evidente anche ad una lettura superficiale.
Innanzitutto, la giunta ha fortemente enfatizzato il fatto che il piano sarebbe finanziato da fondi europei dedicati all’integrazione delle popolazioni rom, e per questo motivo impossibile da estendere a tutti gli altri senzatetto di altre etnie, inclusa quella italiana. Vero solo in parte, poiché i fondi sono sì europei ma non quelli dedicati ai nomadi. Di questi ultimi il comune di Roma non ha voluto usufruire, dal momento che prendere parte ad un progetto del genere avrebbe richiesto il rispetto di alcune norme di trasparenza e collegialità che l’attuale amministrazione si guarda bene dal mettere in pratica.
Sorvolando sul piano umano, che pone i nomadi su un piano di inferiorità cuturale ( non siete in grado di provvedere a voi stessi QUINDI lo Stato vi paga l’affitto due anni) e tutti gli altri, compresi gli italiani, su un piano opposto, in quanto non avranno accesso ale medesime agevolazioni pur versando nelle identiche situazioni di difficoltà, non è affatto chiaro dalle dichiarazioni della Sindaca e dell’Assessora come effettivamente pensino di realizzare il succitato patto per l’integrazione.
A parole il patto sarebbe basato su quattro punti cardine, tra cui la scolarizzazione dei ragazzi e la monitorizzazione dei redditi, ma nei fatti andando a leggere la lettera del piano ne esce un guazzabuglio di difficile interpretazione, che vi riportiamo parzialmente: “Tale percorso dovrà prevedere l’implementazione di misure sistematiche volte al raggiungimento di una progressiva inclusione sociale, economica ed abitativa degli ospiti dei due campi, attraverso la costruzione di percorsi individualizzati di fuoriuscita e di raggiungimento dell’autonomia e dell’autodeterminazione delle persone”.
In parole povere , il nulla. Quanto di più vago e lontano dalla realtà si possa scrivere. D’altronde questa è la critica principale che numerose associazioni, tra cui l’Associazione “21 Aprile”, ha rivolto al progamma-Raggi, reo di essere scollato dalla realtà dei fatti. Qualche esempio: la giunta fissa il numero di nomadi in emergenza abitativa in 4.500 su 9 campi nomadi, mentre a detta dell’associazione sarebbero quasi 7.500, ed allo stesso tempo si parla di generici piani di integrazione in zone nelle quali a farla da padrone è solo la malavita organizzata, senza prevedere un parallelo piano di contrasto alle attività illegali.
In sintesi, un piano che pare in grado di creare più problemi di quanti sia effettivamente in grado di risolvere, mentre a Roma per contrastare il nomadismo ed i problemi ad esso collegati ci sarebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione.
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