«Dare per scontato che tutti gli studenti abbiano in casa computer e tablet è un errore» Intervista ad Anna Angelucci, Presidente dell’Associazione Nazionale “Per la scuola della Repubblica” di Simone Martini
Nozionismo e autoritarismo: come nulla fosse, anche nei giorni della pandemia la scuola italiana ha mostrato ancora una volta il suo volto legnoso e poco incline a comprendere le difficoltà di una ‘didattica a distanza’ somministrata a dosi massicce con «strumenti raffazzonati e un po’ rimediati». Una ‘didattica’ calata dall’alto, nevrotica e snervante per docenti e studenti, in un profluvio di videolezioni, interrogazioni e compiti da inviare tramite e-mail su piattaforme private gestite dai colossi del web. Ognuno da solo davanti al computer dove la dimensione collettiva non esiste più. E i sacrifici degli insegnanti ripagati con il totale silenzio dell’Invalsi. Ne abbiamo parlato con Anna Angelucci, Presidente del Comitato Nazionale “Per la Scuola della Repubblica”.
Anche la scuola “non si ferma” ed ha adottato la ‘didattica a distanza’: che ne pensa?
Non mi stancherò mai di ripeterlo: la didattica a distanza deve essere considerata una ‘didattica dell’emergenza’. Il problema è che questa situazione di “autogestione” doveva essere limitata nel tempo, ma la gestione politica della pandemia si è rivelata completamente diversa e quella che doveva essere una situazione eccezionale di pochi giorni o poche settimane sta diventando una situazione che si protrarrà nei mesi seguenti e che addirittura mette in discussione il regolare avvio del prossimo anno scolastico.
Quali criticità vi sono, secondo lei, nella ‘didattica a distanza’?
Esiste un rischio ‘burnout’, ad esempio. Il rischio è legato al protrarsi a tempo indeterminato di una ‘DAD’ prolungata, che isola davanti ad un computer non solo gli studenti ma anche gli insegnanti. Perché nella relazione educativa l’importanza del contatto dell’incontro dei corpi e di una emozionalità incorporata nell’incontro tra studente e insegnante è reciproca. Invece, in questi giorni, tutto si risolve in un feedback di tipo formale: lo studente ti risponde mandandoti un compito con una mail.
Il Ministero dell’Istruzione vi ha dato una mano?
No. La ministra Azzolina e i politici preposti all’ambito dell’istruzione spingono, premono, insistono criticano ma non danno incoraggiamenti o consigli su come gestire quest’emergenza. E con gli strumenti raffazzonati e un po’ rimediati che gli insegnanti hanno avuto a disposizione e nelle condizioni critiche con cui li hanno poi utilizzati non è facile: non dimentichiamo che in tanti luoghi d’Italia questi strumenti mancano, in tante famiglie mancano. Non tutti dispongono di computer e connessioni veloci. Dare per scontato che tutti gli studenti abbiano in casa computer e tablet è stato un errore.
Fino a che punto può essere considerata ‘legale’ la ‘didattica a distanza’ considerando il fatto che, al momento, non esiste una legge che ne regoli l’uso?
La DAD è stata inserita nei DPCM perché rispondeva ad una necessità contingente dettata dall’emergenza e perché sembrava che fosse l’unico modo possibile per mantenere una parvenza di relazione con i propri studenti. Questo però non significa che si tratti di scuola a tutti gli effetti. La DAD non ha niente a vedere con la scuola in presenza. E’ un’altra cosa non solo perché sono diversi gli strumenti, gli orari e i metodi ma perché è diverso il dispositivo cognitivo sotteso all’apprendimento a distanza e all’uso degli strumenti digitali. Per quanto riguarda la legalità: la DAD attualmente non è normata, nel nostro contratto di lavoro vigente non è prevista. Nel DCPM dell’8 aprile si rimanda, erroneamente da un punto di vista giuridico, al “lavoro agile”, il cosiddetto smart working, ma non è così semplice. Non è corretto assimilare la ‘didattica a distanza’ allo smart working.
Perché?
Perché lo smart working o lavoro da remoto è regolato da una legge del 2017. E’ una legge che prevede, attraverso accordi individuali scritti tra lavoratore e datore di lavoro, che il lavoratore possa svolgere parte delle sua mansioni da remoto. Ma in settori aziendali e prevalentemente produttivi. Tutto questo con la didattica a distanza non ha niente a che fare, prima di tutto perché la scuola non è un luogo in cui si produce un prodotto o un servizio: l’educazione, la formazione non può rientrare in questa sfera concettuale. Non può essere considerata una professione alla stregua di qualunque altra professione: quindi la didattica a distanza va inquadrata anche sotto il profilo normativo in un modo completamente diverso da quello produttivistico dello smart working.
In tutto questo l’Invalsi che ruolo gioca?
Incredibilmente l’Invalsi sta lavorando per mettere a punto test straordinari da fare a settembre o comunque da fare, in qualche modo, nel momento in cui si tornerà a scuola per misurare e valutare gli esiti dell’apprendimento della ‘didattica a distanza’: in questo momento e con queste modalità è veramente assurdo. Ed è gravissimo soprattutto il silenzio della Presidente dell’Invalsi, professore ordinario di psicologia dello sviluppo, in merito alle conseguenze che potrà avere una ‘didattica a distanza’ prolungata su ragazzi poco più che adolescenti.
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