Intervista con Lia Migale, componente del Direttivo, scrittrice e docente di Economia alla Sapienza
Dott.ssa Migale, il 3 agosto 2018 arriva la revoca del Comune di Roma della concessione alla Casa Internazionale delle Donne. Ci può fare il punto della situazione?
Quando il 3 agosto arrivò la revoca della convenzione era già passato inutilmente oltre un anno di discussioni e trattative con le allora assessore interessate (patrimonio, sociale e pari opportunità) a seguito di una lettera (del novembre 2017) che ci intimava di liquidare immediatamente il debito da noi contratto per affitti non pagati pena lo sfratto. Nella trattativa noi avevamo presentato un progetto per la ristrutturazione del debito che ci veniva contestato (oltre 800.000 euro) sulla base di un conteggio che metteva in risalto quanto noi avevamo speso per mantenere lo stabile (del ‘600), valutato altre inadempienze del Comune che avevano comportato minori ricavi per noi e la richiesta di riconoscere il valore dei servizi che noi rendiamo alle donne. Sostenute da una grande mobilitazione delle donne romane la sindaca Raggi si decise a incontrarci per illustrarci un fumoso progetto di Casa delle donne in regime “pubblico/privato” dove noi avremmo potuto forse avere un piccolo ruolo. Ovviamente abbiamo ribadito che il progetto Casa Internazionale delle Donne già esisteva e che per noi era importante come prima cosa risolvere il problema del “quasi” sfratto. Dopodiché è arrivata la revoca alla quale ci siamo opposte facendo ricorso al Tar. Nell’attesa dell’esito del ricorso abbiamo inviato nuovamente una proposta di transazione che a fronte di un nostro pagamento di oltre un terzo del debito da loro calcolato (anche se noi pensiamo che quel valore, non tenendo conto di maggiori oneri e minori ricavi avuti, è sovrastimato) fa riferimento anche alla legge del Terzo settore che prevede la gratuità della convenzione in presenza di servizi in regime di gratuità come quelli da noi resi alle donne. Una proposta che da più parti (anche dall’interno del Comune di Roma) è stata considerata più che valida. Ci è quindi sembrato che il clima stesse cambiando anche perché la Raggi ci ha inviato un telegramma per dirci che il nostro è un lavoro molto importante. Inoltre, prima dell’estate, alla nostra convocazione di una conferenza stampa, è intervenuta la nuova delegata per le pari opportunità della Sindaca che ci ha promesso di organizzare un incontro ai primi di settembre con la prima cittadina di Roma per giungere alla conclusione della questione. Invece è ormai passato oltre un mese, noi abbiamo scritto e riscritto alla stessa Sindaca di incontrarci, ma ancora una volta siamo senza risposta. Abbiamo capito che si stava aspettando il rimpasto di giunta, ma ormai anche quello è cosa fatta. Ecco, in estrema sintesi quale è questa incredibile storia dove uno dei primi atti della prima sindaca donna di Roma è stato contro le donne e soprattutto contro un luogo che è una ricchezza della città, dove le donne oltre a ricevere servizi gratuiti hanno un luogo di discussione, di creazione di cultura, di formazione di un pensiero di donna sul mondo.
La logica “costi-benefici”, insieme a quella della “legalità”, è del resto un pallino del M5S…
Come dicevo, è una logica che non sa nemmeno fare veramente i conti. Oltre a non rendersi conto di cosa significa mantenere in ottimo stato un palazzo composto da un’ala del ‘600 e di un’ala dell’800 e di cortili curati e aperti alla cittadinanza (femminile e maschile), non si rendono nemmeno conto di quanto valore aggiunto noi apportiamo alla città tra pagamento di servizi per acqua, luce, gas, per il trattamento dei rifiuti e per salari pagati alle dipendenti (segreteria e ostello). Parlano di “costi/benefici” ma non riescono a calcolare il valore dei servizi gratuiti, e questi sono calcoli semplici, ma ancor più non valutano cosa significa un presidio di democrazia in un quartiere ampio e non sempre facile come Trastevere, non immaginano quanto importante non solo per le donne ma anche per gli uomini avere un luogo dove si fa vera cultura di genere e quindi si apprende a essere donne e uomini più consapevoli.
Cosa vorrebbe farci il Comune con lo stabile del Buon Pastore?
Considerando che un palazzo storico-artistico come lo stabile del Buon Pastore non può essere venduto per farne ad esempio (non casuale visto che è il destino della maggior parte dei palazzi romani) un albergo, che gli spazi non possono essere alterati facilmente, che una gran parte del palazzo rimasto di competenza del Comune (per attività connesse alle donne) non è stato utilizzato per molto tempo, non so se ci siano mai stati dei veri progetti di utilizzo, tranne la vaga ipotesi di una nuova Casa delle Donne.
Ad ogni sgombero, poi, segue il nulla, o meglio, il deserto culturale e relazionale come dimostrano i casi del Teatro Valle e del Cinema America…
Esatto, il palazzo Nardini in via del Governo vecchio, precedente Casa delle Donne, dalla quale le donne furono sfrattate (e così fu occupato il Buon Pastore che, solo in seguito fu destinato con convenzione alla Casa Internazionale delle Donne) è stato totalmente abbandonato portando quel magnifico stabile ad un degrado pazzesco. Le donne che da sempre hanno il sapere della cura, anche se con pochi mezzi non permettono che la loro casa non sia curata e accogliente.
Simone Martini
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