Un momento della manifestazione degli studenti del collettivo autonomo studentesco contro l'alternanza scuola-lavoro, Bologna , 13 ottobre 2017. ANSA/GIORGIO BENVENUTI
Verifiche su verifiche, quiz a crocette come per la patente e lavoro gratuito. Grazie alle quattro riforme che si sono succedute in meno di vent’anni la scuola italiana tende a trasformarsi sempre più in una azienda, con meccanismi di selezione e controllo non sempre percepibili, tantomeno dai ragazzi delle scuole medie e delle elementari. Un “gigantesco esperimento sociale”, come lo definisce in questa intervista Roberto Ciccarelli, filosofo e giornalista de “Il Manifesto”, autore del libro “Capitale disumano. La vita in alternanza scuola-lavoro” edito da Manifestolibri.
Lei definisce questa “alternanza” come un “nuovo esperimento sociale”. In cosa consiste?
Viviamo in una società della piena occupazione precaria. Siamo considerati tutti in formazione continua, vaghiamo nei gironi di chi cerca un lavoro e in questo ha trovato la sua occupazione. Nell’intermezzo tra l’uno e l’altro si moltiplicano le ingiunzioni a studiare, riqualificarci, inventarci un lavoro, imparare un altro mestiere, creare l’impresa di noi stessi, aumentare il nostro capitale umano. L’alternanza scuola lavoro, che oggi è stata ribattezzata “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, è il concentrato purissimo di questo modello di vita, un gigantesco esperimento sociale. A partire dai 16 anni in poi tutti i ragazzi oggi sono obbligati ad entrare in questo modello di vita, anche perché – teoricamente – queste esperienze saranno obbligatorie per accedere all’esame di maturità. Tale obbligo è stato per il momento sospeso. Vedremo l’anno prossimo se sarà reso esecutivo. È anche possibile che lo lascino in un limbo. Tuttavia un grande cambiamento è avvenuto ed è necessario indagarlo a fondo. Pur essendo stato rallentato dall’attuale governo Lega-Cinque Stelle, l’alternanza introdotta dal governo Renzi (Pd) nel 2015 ha comunque segnato una discontinuità nella più che ventennale storia della trasformazione neoliberale della scuola e dell’intero sistema dell’istruzione in Italia.
Gli studenti visti come capitale umanoda cui estrarre lavoro gratuito, come i liceali mandati da McDonald’s a friggere patatine: la Scuola, dunque, al pari di una qualsiasi azienda?
Non credo che il problema sia solo quello dei liceali che, teoricamente, possono anche fare un periodo da McDonald’s. Il problema riguarda anche gli studenti dei tecnico-professionali che possono essere usati per sostituire forza lavoro contrattualizzata nella stagione estiva in un ristorante, ad esempio. Non occorreva l’“alternanza scuola lavoro” per scoprire queste pratiche, soprattutto nei casi dei tecnico-professionali che svolgono da sempre attività di tirocinio nelle imprese. Questo può essere uno degli effetti dell’“alternanza”. Vorrei tuttavia evidenziare altri elementi del progetto che mi sembrano decisivi: l’“alternanza” riproduce le differenze di classe tra un liceale e uno studente dei tecnico-professionali, e quelle tra gli studenti nelle stesse scuole. Lo studente viene proiettato in un zona grigia giuridica dove non è né uno studente, né un lavoratore. L’“alternanza” intensifica la contraddizione tra il diritto al lavoro e quello all’istruzione, rendendo inoperosi entrambi ma, in compenso, permette la creazione del soggetto del lavoro contemporaneo: il soggetto concepito sempre disponibile, il cui impegno è concepito al di là del contratto di lavoro e, in generale, di ogni rapporto di lavoro formalizzato sulla base della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. L’“alternanza” è uno strumento di trasformazione antropologica degli adolescenti in soggetti pronti ad ogni lavoroe al lavoro di chi cerca un lavoro per tutta la vita. È il profilo del soggetto neoliberale: un performerobbligato a una costante intermittenza tra lavoro e non lavoro, occupazione e disoccupazione, attività e inattività finalizzata alla creazione dell’impresa di se stessoe in particolare il suo capitale umano. La sua vita consiste nell’essere sempre operativo e nell’incarnare il capitale, nell’illusione di essere il datore del lavoro di se stesso. Questo destino coincide con la realizzazione di un’astrazione che coincide con la massima alienazione del soggetto. Quest’ultimo si sente moralmente obbligato a desiderare di incarnare ciò che lo sfrutta: il capitale, appunto. Questo è la contraddizione in cui viviamo da quando siamo stati portati a desiderare di essere un “capitale umano”. Per questo il soggetto implode in se stesso e va in cortocircuito. Che cos’è questo soggetto? L’imprenditore di se stesso, il soggetto-azienda. Ecco: l’alternanza ha segnato il passaggio dalla scuola-azienda all’azienda-soggetto.
Il modello ispiratore dell’ “Alternanza scuola-lavoro” è, come in altri casi, la Germania, ma almeno lì c’è un salario da ‘apprendista’…
Così è stato presentato, ma è una bufala. Nel sistema tedesco vige il diritto del lavoro, almeno per quanto riguarda le scuole che fanno i tirocini. Per questa ragione è prevista anche questa forma di pagamento. Così non può essere in Italia dove, nonostante tentativi reiterati di cambiare l’impostazione costituzionale condotti sia dai neoliberisti di “destra” e di “sinistra”, vige il diritto all’istruzione. Al di là delle sottigliezze giuridiche, il diritto all’istruzione è un diritto sociale importantissimo: con la Costituzione, e le successive riforme degli anni Sessanta, in Italia si è realizzata una delle battaglie del movimento operaio e democratico che ha combattuto il lavoro minorilee ha imposto il diritto (e dovere) all’istruzione dei cittadini, a partire dai bambini. E questo per impedire di spedirli già in tenera età nelle fabbriche. L’“alternanza” segna un rovescio, su nuove basi rispetto all’Ottocento. Non si tratta di lavorare– anche se questo non è escluso dai percorsi di alternanza – ma si tratta di apprendere ad apprendere anche a lavorare. Si realizza in questo modo una vita in cui il diritto all’istruzione è vincolato al nuovo imperativo della società dell’apprendimento (la cosiddetta learning society). Per interrompere l’attacco a questo diritto sociale che permette di rendere indipendente l’istruzione dalla sua finalizzazione produttiva in termini capitalistici, è necessario ripensare l’autonomia dell’istruzione dal lavoro. Anche per questo nel libro propongo l’istituzione del reddito di base e incondizionato per gli studenti – chiamiamolo reddito di formazione. Ovviamente non può essere riservato solo agli studenti, va generalizzato perlomeno a tutti i lavoratori poveri, secondo un progetto di lunga durata. È una battaglia strategica per contrastare la società dei bassi salari e del precariato a cui induce il capitalismo contemporaneo. Nello specifico, servirebbe a spezzare il meccanismo dell’alternanza, a responsabilizzare gli individui non come aziende-soggetti, ma come singolarità connesse con un progetto universale e con la cooperazione con gli altri studenti e i docenti. La scuola insegnerebbe almeno una cosa: non serve lavorare tutta la vita per ottenere almeno un lavoro. Se esiste un lavoro, allora possiamo imparare il lavoro di rifiutare il ricatto. La concezione del reddito di base permette anche di ripensare la scuola come istruzione alla dignità, all’autonomia e all’indipendenza personale e collettiva. Il reddito è la premessa, non il fine di un progetto di una società opposta alla condotta neoliberale.
“Buona Scuola” e “Jobs Act”: esiste un nesso tra le due leggi, emanate, tra l’altro, dal medesimo governo?
Senz’altro. L’alternanza prepara lo studente ad entrare in un mercato del lavoro dove il 90 per cento delle assunzioni nel lavoro dipendente sono ormai realizzate tramite le numerose forme di contratti a termine e dove, per i nuovi assunti nel lavoro subordinato dopo il 7 marzo 2015, non esiste più l’articolo 18. Da qui alla prossima generazione non ci sarà più nessun assunto a tempo indeterminato. Ci sarà formalmente il “tempo indeterminato” che funzionerà progressivamente come un tempo parziale e poi sempre più verso la casualizzazionedel rapporto di lavoro in direzione di un lavoro prestazionale e individualizzato. Il progetto in cui si inserisce il Jobs Act è la sostituzione del lavoro salariato con quello dell’imprenditorializzazione del sé. Dopo Forza lavoro, il lato oscuro della rivoluzione digitale (DeriveApprodi) Capitale disumano(Manifestolibri) è la seconda parte di una ricerca che indaga le conseguenze di questa trasformazione profondissima. L’alternanza scuola lavoro è uno dei dispositivi adottati in Italia per realizzare questo obiettivo.
Test Invalsi: vengono presentati generalmente come delle semplici misurazioni ‘oggettive’, asettiche, che mirano unicamente a stabilire in maniera imparziale il grado di ‘competenze’ raggiunte dagli studenti. E’ veramente così?
Per nulla. L’oggettività di questi test è una finzione, evidente a occhio nudo. Tuttavia vengono presentati così. In Capitale disumanotraccio la storia e racconto il fine di questi test: formare l’homo competens.Sin da piccoli gli studenti sono inquadrati nell’identità sociale costruita in funzione di una valutazione sulla produttività, l’efficacia o il rispetto dei valori da parte di una o più agenzie appositamente create e trasformate allo scopo di certificare e classificare il rendimento in una classifica di produttività. I test sono una parte del progetto della valutazione educativa basato su procedure di misurazione e documentazione di conoscenze, attitudini soggettive, credenze personali attraverso gli strumenti della docimologia e della psicometria. Per questa ragione le aule sono state invase dai test e quiz Pisa e Invalsi, a risposta chiusa ed aperta, esercitazioni scritte e orali. Strumenti necessari per misurare la funzionalità dei progetti educativi, per determinare il riconoscimento dei crediti formativi e recuperare i debiti formativi nell’università e negli ordini professionali. L’obiettivo di questo dispositivo è fare interiorizzare agli studenti l’ideale dell’imparare lavorando – il work based learningteorizzato anche nell’alternanza scuola lavoro. Questa è l’idea è della gestione della qualità totale [total quality management]: l’opposto del non sapere socratico e dell’esercizio critico delle facoltà in uno specifico momento. La finalità non è sviluppare l’autonomia del soggetto, ma vincolarla alle richieste del mercato dentro un rapporto di subordinazione morale, ancor prima che lavorativa. L’approccio deriva dall’epistemologia genetica, dal cognitivismo e dalle teorie dell’agencyche, insieme, hanno trasformato l’istruzione da processo disciplinare a processo previsionale dei comportamenti e delle mentalità. In questa cornice, la “competenza” è l’applicazione di comportamento adeguato, mentre la conoscenza è il prodotto di un contesto ottenuto attraverso l’adattamento ai criteri di rendimento.
E’ azzardato supporre che dietro quest’ansia di valutazione dei comportamenti degli studenti vi possa essere una ‘voglia’ di disciplinamento e di controllo di un’intera società?
Non lo è. È su questa “ansia” che matura il dispositivo che ho descritto. Va detto che non si tratta di qualcosa di “naturale”, ma di prodotto dal modello di comportamento e dalla mentalità a cui si viene formati già nella scuola e, in generale, nella società della prestazione. A un certo punto il soggetto si trova a desiderare di entrare in un sistema che lo respinge e nel quale lui cerca di restare in ogni modo, adottando le abitudini e la mentalità che sa bene essere nocivi. È l’idea del vicolo cieco: sai che non c’è uscita eppure è quella l’unica strada. Ne emerge una soggettività spaccata, irrisolta, che sperimenta tutte le tonalità della depressione e dell’iperattivazione, fino al punto di bloccarsi e diventare un individuo reattivo, incentrato sul vittimismo, auto-boicottaggio, il risentimento, l’odio. L’ansia di cui parliamo è una costruzione sociale delle passioni tristi funzionale al trasformazione del soggetto in un capitale disumano. Il libro omonimo l’ho concepito anche come esercizio eticoper sospendere, ed eventualmente rovesciare, questa economia delle passioni e praticare un percorso di liberazione. Oggi penso a questo libro come un gioioso e esigente compagno di viaggio dedicato a un grande filosofo, un grande amico: Baruch Spinoza.
Simone Martini
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